Sommario
News sul dolore
In Una Molecola il Segreto
dell'Assuefazione alla Morfina
Terapia del dolore: si fa ancora poco
Il Dolore Oncologico
Il
Dolore al Femminile
Il Dolore
La via intratecale nel dolore cronico benigno
SIAARTI recommendations on the assessment and
treatment of chronic cancer pain
Eziologia e terapia nel dolore da cancro
Dolore cronico in Reumatologia
La Cefalea a Grappolo
Contro il dolore uno spray nasale
Una recente scoperta
Cervicalgie
e
Lombalgie
Trattamento del dolore da arteriopatia
obliterante degli arti inferiori:
The Pain
Memory
Il Dolore e le scale di misurazione
|
|
Dacrion
(Dal Greco dákryon: lacrima, dolore)
Diego Beltrutti (*) - Aldo Lamberto (#)
* Servizio di Anestesia e Rianimazione - Centro del Dolore -
Ospedale S. Spirito - ASL 18 Alba-Bra - Via V. Emanuele 3 -12042 –
Bra - Italy.
# Servizio di Anestesia e Rianimazione - Centro del Dolore e Cure
Palliative - Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle - Via M. Coppino,
26 - 12100 – Cuneo - Italy.
Qualsiasi approccio al corpo umano non può escludere il cervello ed
il suo funzionamento. A sua volta lo studio del cervello non può mai
fare a meno di considerare il ruolo ed il funzionamento della
memoria. Sperimentazioni degli ultimi trent’anni hanno dimostrato
che il processo di codificazione mnestica per il passaggio da
memoria a breve termine (STM) a memoria a lungo termine (LTM) è
piuttosto complesso. I ricordi vengono registrati sotto forma di
modifiche della biochimica e della struttura molecolare dei neuroni
che è modulata da diverse sostanze prodotte dall’organismo sia nel
SNC che a livello periferico. McGaugh nel 1972 [1] dimostrò il ruolo
dell’adrenalina, della noradrenalina e delle endorfine nella
facilitazione o inibizione del processo di consolidazione della
memoria (la noradrenalina inibisce e anche le endorfine perché
queste ultime si oppongono agli effetti positivi esercitati dalla
strimolazione adrenergica e noradrenergica indotta da situazioni
blandamente stressanti)
Il complesso sistema della memoria comporta un processo di
interazioni cognitivo-emotive, di generalizzazione e
categorizzazione. Queste due ultime caratteristiche, sono
responsabili dell’allargamento dell’esperienza specifica ad altre
simili e le inseriscono all’interno di categorie che possono essere
facilmente richiamabili alla memoria. Quando accade un evento, la
capacità di memorizzazione dello stesso avviene in modo strettamente
connesso alle emozioni che suscita, siano esse positive che
negative. Se poi l’evento si protrae per un certo periodo di tempo,
la memorizzazione passa dal breve al lungo termine diventando così
incancellabile.
Quest’ultima affermazione sembra essere messa in discussione dagli
studi sull’amnesia, soprattutto quando ci si riferisce a persone
anziane. Nel rapporto con le persone giovani la differenza si
esplicita soprattutto nella Short Term Memory (STM). Gli anziani
hanno messo in evidenza che la capacità di ritenzione immediata, che
in termine tecnico è definita "span" di memoria, non è diversa nei
giovani e negli anziani. Essa però subisce l'effetto della consegna
indicata dallo sperimentatore e del materiale da memorizzare. Gli
anziani presentano prestazioni inferiori a quelle dei giovani nelle
prove a tempo e in quelle in cui l'informazione deve subire un
processo di rielaborazione prima di poter essere conservata. Una di
queste prove sperimentali consisteva [2] nel ripetere liste di cifre
o di parole. In questo caso le prestazioni degli anziani non si
discostavano da quelle dei giovani sia nel numero medio degli item
ricordati sia in quello che viene definito “recency effect” e
che consiste nel ricordare gli ultimi item della lista. Ma nelle
prove in cui bisognava effettuare qualche elaborazione, come
ricordare solo un certo tipo di informazione (ad esempio, di un
elenco di oggetti animati e inanimati ricordare solo quelli
inanimati), gli anziani davano prestazioni assai più modeste dei
giovani.
A seguito di queste e di altre ricerche
similari gli psicologi pensarono che il successo o l’insuccesso nel
ricordare è determinato dalle strategie con le quali avviene l’eleborazione
dell’informazione. Perciò le amnesie, dovevano considerarsi come
conseguenze di difetti processuali, e non semplicemente di
struttura del meccanismo della STM.
L’interesse per il meccanismo delle
amnesie è determinato dal fatto che per capire il loro funzionamento
occorre anche comprendere le strade attraverso le quali un ricordo
si fissa e si modifica nel tempo senza essere dimenticato. Un modo
di spiegare i meccanismi dell’amnesia è che essa sia frutto di
difetti nei meccanismi di conservazione delle informazioni. Perciò
la durata dell’informazione non dipende solo dall’averla depositata
nella LTM, ma è il tipo o il livello dell'elaborazione cui sono
sottoposte le informazioni prima della conservazione che ne
assicura la durata. Da questo punto di vista, la LTM non andrebbe
più immaginata come "topos" in cui risiedono i ricordi, cioè come
una struttura, ma come la condizione in cui si trova il ricordo, in
quanto risultato di un processo di elaborazione.
Secondo questo approccio le
informazioni in ingresso possono essere conservate con tre modalità
diverse. Il primo è una conservazione identica a quella iniziale
(livello di elaborazione sensoriale, superficiale e aleatorio). Il
secondo è conseguente ad un'elaborazione che ne metta in evidenza
il significato (livello semantico, durevole). Il terzo avviene dopo
un'elaborazione più profonda che consenta di astrarne i concetti
(livello concettuale, definitivo e durevole).
Gli studi sulla memorizzazione nella persona anziana sono
particolarmente interessanti per uno studio sulla memoria di dolore
anche perché molto spesso i pazienti sofferenti di dolore cronico
appartengono a fasce di età elevate. Gli studi hanno mostrato gli
anziani hanno una maggior vividezza per i ricordi più antichi; ciò
non sarebbe imputabile semplicemente alla miglior memoria della
giovinezza, ma anche ad una sorta di "ricostruzione secondaria",
vale a dire ad un processo parzialmente ricostruttivo attorno ad
uno schema di identità personale che l'interessato opera attraverso
gli anni. Spesso è stato dimostrato che quel che gli anziani
rievocano raramente coincide con ciò che è realmente avvenuto: con
il passare del tempo quell'esperienza era stata rivissuta e
rivisitata molte volte, alla luce di interessi e di informazioni
successive. Quindi la maggior vividezza dei ricordi più antichi va
ricercata nella frequenza con la quale vengono rielaborati dalla
persona.
Un individuo che abbia avuto per anni problemi di dolore, frequenti
ricorsi a terapie mai del tutto efficaci, attua continuamente questa
rielaborazione per cui il ricordo viene fissato e anche trasformato
a seconda delle nuove emozioni, sensazioni e valutazioni che
sperimenta.
L’esperienza dolorosa è sicuramente ad alto
contenuto emotivo e spesso si prolunga nel tempo, perciò entra a far
parte della LTM. Il ricordo del dolore spesso prevale sull’episodio primario per
l'impatto sulla fisiopatologia e sulla sofferenza umana. La
intensità della memoria per una procedura dolorosa dipende da molti
fattori, tra i quali troviamo la intensità del dolore associato a
quella procedura. Una delle osservazioni più frequenti è che il
ricordo che i pazienti conservavano delle medicazioni dolorose è
spesso impreciso. Il ricordo del dolore provato dai pazienti è
strettamente correlato al picco di dolore provato e non alla durata
della procedura. Uno studio di Tasmuth e coll. [3] affronta il
problema della correlazione fra dolore postoperatorio in seguito a
mastectomia e sviluppo di dolore cronico. Esaminando 93 pazienti
hanno potuto notare che ad un anno di follow-up quelle che
soffrivano di dolore cronico avevano lamentato un maggior dolore nel
postoperatorio. Analoga correlazione è stata rilevata in uno studio
sullo sviluppo del dolore cronico in donne per cancro alla mammella
e stato visto che il più forte fattore di rischio era rappresentato
dalla intensità del dolore provato nel postoperatorio. Altri fattori
correlati sono stati la presenza di depressione ed una maggior
tendenza alla sovrastima valutativa del dolore.
Esaminando ancora la relazione fra dolore
acuto e cronico è stato notato come l' intensità relativa al ricordo
del dolore possa diminuire o aumentare. Kalso [4] ha descritto
alcuni fattori che determinano la direzione della memoria del
dolore. Il principale è rappresentato dall’intensità del dolore
provato nello specifico momento della nocicezione. In seconda
istanza un altro fattore molto importante è rappresentato dal
ricordo dell'intensità di dolore precedenti. Da questi studi emerge
che il ricordo del dolore è strettamente correlato con l’intensità
dolosa sperimentata nell'episodio che lo ha scatenato.
Arnstein [5] offre un importante contributo alla comprensione della
relazione fra memoria e dolore partendo dal concetto di
neuroplasticità. Con questo termine s’intende la capacità dei
neuroni di alterare la loro struttura e le loro funzioni come
risposta a stimoli interni od esterni. Infatti, modificazioni
neuroplastiche chimiche e fisiche sono in relazione con
l'apprendimento, la memoria e il dolore cronico. Quindi il dolore
cronico è un processo "maladattivo" di apprendimento. Arnstein fa
notare che, se il dolore si mantiene per oltre 24 ore si creano le
condizioni di neuroplasticità per cui si può sviluppare un dolore
cronico difficile da curare. Così come il dolore cronico può essere
connesso ad un iniziale trauma acuto capace di indurre una
modificazione nella plasticità neuronale così anche la presenza di
traumi psicologici possono indurre rimodellamenti neuronali, per cui
è possibile che si instauri un circolo vizioso di mantenimento del
dolore.
Uno dei campi più fecondi della ricerca sulla memoria di dolore è
quello sul dolore dell’arto fantasma. Da molti anni si discute sulla
correlazione fra il dolore provato dal paziente precedentemente
all’amputazione ed il dolore dell’arto fantasma. Si pensa che il
dolore dell’arto fantasma sia un perpetuarsi nel tempo di una
esperienza di dolore provata prima dell’amputazione.
Nikolajsen e coll. [6]
hanno cercato la correlazione
fra il dolore precedente all’amputazione, il dolore al moncone ed il
dolore dell’arto fantasma. Secondo le loro ricerche il grado di
intensità e la durata del dolore precedente all’amputazione
aumentano in modo statisticamente significativo l’incidenza di
dolore al moncone e di dolore dell’arto fantasma nella prima
settimana post-amputazione. La valutazione del paziente tre mesi
dopo l’amputazione indica che la correlazione è ancora
significativamente valida per il dolore dell’arto fantasma. Circa il
42% dei pazienti, oggetto della loro ricerca hanno riferito che il
dolore dell’arto fantasma era molto simile al dolore provato prima
dell’amputazione. Sul piano valutativo è interessante notare che a
distanza di 6 mesi i pazienti davano una valutazione soprastimata
del dolore precedente all’amputazione.
Hill e coll. [7] hanno studiato un “single case” per verificare se
era possibile identificare i punti trigger e la loro correlazione
con la memoria di dolore somatosensoriale. L’osservazione è durata
per oltre nove mesi al termine dei quali è stato possibile isolare
alcuni episodi somatosensoriali e anche due episodi di
injury-related phantom limb pain associati a trigger cognitivi e/o
emozionali.
Sul piano sperimentale il gruppo di ricerca dell’Università di
Tubingen è all’avanguardia per quanto riguarda il dolore, le
correlazioni fra SNC e risposta di dolore e la memoria di dolore. Su
quest’ultimo argomento hanno svolto una ricerca particolarmente
interessante per valutare in che modo l’esperienza personale di
dolore, potesse influenzare la complessità dimensionale dell’EEG
[8]. L’ipotesi di partenza era che le connessioni associative fra
complessi di cellule corticali che rappresentano le memorie
collegate al dolore dovrebbero essere più forti e più estese nelle
persone che soffrono di dolore cronico. Utilizzando un campione di
nove pazienti con dolore cronico e nove controlli sono riusciti a
confermare che nei pazienti con dolore cronico c’era una diversa
complessità nell’EEG rispetto ai controlli. Questa osservazione era
valida solamente quando veniva richiamata la scena personale di
dolore e non quando venivano richiamate scene di distress.
Attraverso questa sperimentazione, è possibile ipotizzare che la
persistenza del dolore cronico possa essere anche determinata da
questa più ampia e facilmente accessibile memoria di dolore.
Il paziente che soffre di dolore cronico spesso ha una lunga
esperienza su vari tipi di terapia fra cui operazioni chirurgiche o
terapie mediche dolorose. Il ricordo di questi eventi condiziona
tutte le esperienze successive sia nell’accettazione di ulteriori
trattamenti terapeutici sia nella percezione del pain relief in
seguito alle terapie stesse.
Redelmeier e coll. [9] hanno ipotizzato che la memoria del paziente
rispetto a procedure mediche dolorose può influenzare la decisione
su future terapie. Inoltre la loro ipotesi rimaneva inalterata anche
se la memoria era imperfetta e suscettibile di errori e
dimenticanze. La loro osservazione si riferiva a pazienti sottoposti
a colonscopia e a litotripsia. Il ricordo del dolore era fortemente
influenzato dai picchi di intensità del dolore e dall’intensità del
dolore provata negli ultimi tre minuti della procedura. La variabile
costituita dalla durata della procedura non produceva variazioni
significative nella memoria di dolore. L’osservazione che
attribuisce notevole importanza al dolore provato negli ultimi tre
minuti della procedura si ricollega al citato “recency effect”,
perciò, sono memorizzate più stabilmente le emozioni e le sensazioni
provate nell’ultimo periodo di osservazione. Il meccanismo è del
tutto simile a quello dello studente che ricorderà molto più
agevolmente quello che ha studiato all’inizio (“effetto primacy”) e
alla fine (“effetto recency).
Gli studi sulla memoria aiutano a comprendere i meccanismi
attraverso i quali il ricordo del dolore e tutte le manifestazioni
correlate, fisiche, valutative ed affettive si fissano nella memoria
e condizionano la risposta del paziente ad una terapia.
References
1.
McGaugh JL : Memory consolidation. Albion, San Francisco, 1972
2.
Ratti M. T., Amoretti G. (1991), Le funzioni
cognitive nella terza età, Roma, La Nuova Italia Scientifica.
3.
Tasmuth T, Estlanderb AM, Kalso E Effect of present pain and mood on
the memory of past postoperative pain in women treated surgically
for breast cancer. Pain
1996 Dec;68(2-3):343-7
4.
Kalso E. Memory for pain Acta Anaesthesiologic Scand 41S 129-130,
1997
5.
Arnstein PM
The neuroplastic phenomenon: a physiologic link between chronic pain
and learning.
I. Neurosci Nur 29: 179-186 1997
6.
Nikolajsen L, Ilkjaer S, Kr‡ner K, et al, : The influence of
preamputation pain on postamputation stump and phantom pain. Pain 72
: 3 , 393 - 405, 1997
7.
Hill A, Niven CA, Knussen C : Pain memories in phantom limbs: a case
study. Pain 66 : 2 - 3, 381 - 4, 1996
8.
Lutzenberger W, Flor H, Birbaumer N : Enhanced dimensional
complexity of the EEG during memory for personal pain in chronic
pain patients. Neurosci Lett 226 : 3, 167 - 70, 1997
9.
Redelmeier DA; Kahneman D Patients' memories of painful medical
treatments: real-time and retrospective evaluations of two minimally
invasive procedure.
Pain 66 : 1, 3 - 8, 1996
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In Una Molecola il Segreto dell'Assuefazione alla
Morfina
(ANSA) - Uno studio italiano potrebbe rappresentare un
passo avanti nella terapia del dolore, permettendo di prevenire
l'assuefazione alla morfina che si registra in ogni paziente con
l'uso del farmaco e che obbliga ad innalzare le dosi per placare il
dolore. Condotto da Daniela Salvemini dell'universita' di Saint
Louis con esperti dell'Universita' Magna Graecia di Catanzaro, dell'IRCCS
Mondino-Universita' Tor Vergata e dell'IRCCS San Raffaele Pisana di
Roma, e finanziato in parte dall'Universita' di Firenze, dal COFIN
2005, dall'IRCS Centro Neurolesi, lo studio ha svelato che
l'assuefazione alla morfina nel corso del trattamento dipende dalla
formazione di una molecola, il perossinitrito, che e' poi anche in
parte responsabile di alcuni degli effetti collaterali della morfina
stessa. In uno studio su topolini si e' visto che prevenendo la
formazione di perossinitrito con un farmaco, gli animali non vanno
incontro ad assuefazione alla morfina. Pubblicato sulla rivista The
Journal of Clinical Investigation, ''questo risultato crediamo
rappresenti un importante balzo in avanti per prevenire
l'assuefazione a morfina ed altri oppiacei'', ha dichiarato
Salvemini. Il dolore e' una malattia e come tale va trattato e
prevenuto. Gli oppiacei, come la morfina, sono dei farmaci adatti
alla terapia del dolore ma che, purtroppo, dose dopo dose, danno
assuefazione. Cosi' il paziente e' costretto ad assumere dosi via
via crescenti per ottenere lo stesso effetto analgesico. Ma dosi
crescenti significa anche aumento di effetti collaterali, non pochi,
come l'eccesso di sedazione, problemi respiratori, costipazione,
ridotta attivita' fisica, rischio di sviluppare farmacodipendenza.
Lavorando su topolini gli esperti hanno scoperto che la
somministrazione di morfina scatena la comparsa nel midollo spinale
della molecola perossinitrito e che questo composto provoca
infiammazione e danni al Dna. Prevenendone la formazione con un
farmaco con azione antiossidante, l'assuefazione alla morfina non
compare nei topolini. ''Crediamo che la nostra scoperta possa
portare allo sviluppo di terapie che, date insieme alla morfina,
permettano ai pazienti di prendere l'oppiaceo senza averne
assuefazione in modo che i suoi benefici rimangano inalterati'', ha
detto Salvemini. ''Il vantaggio di questa ricerca e' potenzialmente
enorme - ha concluso - in termini di mantenere l'effetto degli
oppiacei e ridurrne gli effetti collaterali''.
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IL DOLORE AL FEMMINILE
L’International Association for the
Study of Pain (IASP) definisce il dolore come un’esperienza
spiacevole, complessa e privata, primariamente associata a una lesione
somatica o descritta in tali termini.
In quanto tale, l’esperienza del
dolore è universale, interessando la specie umana (e non solo questa)
in tutte le epoche, latitudini e culture.
Il messaggio del dolore (soprattutto
acuto) rappresenta un segnale di allarme per l’integrità psicofisica
del corpo, rivestendo il carattere di assoluta costante biologica.
Allora ci si può chiedere, come per altri aspetti della vita umana, se
vi siano significative differenze legate al sesso in rapporto al
dolore.
In altre parole, le donne soffrono in
maniera differente dagli uomini?
E se sì, perché?
L’argomento recentemente ha suscitato
l’interesse e l’attenzione della comunità scientifica internazionale.
Innanzitutto è opportuno distinguere
l’ambito clinico da quello sperimentale.
Nel complesso , gli studi
sperimentali suggeriscono una maggiore sensibilità nocicettiva
(dolorifica) nelle donne rispetto agli uomini in risposta a stimoli
meccanici o elettrici (ma non termici), con conseguenti minori soglia
e tolleranza al dolore.
Studi di imaging con la PET (Positron
Emission Tomography) hanno rilevato una maggiore attivazione dell’insula
e della corteccia prefrontale nelle donne in condizione di dolore
sperimentale acuto).
Ciò suggerirebbe differenze tra
uomini e donne nell’integrazione a livello centrale degli stimoli
nocicettivi e/o nei sistemi endogeni di modulazione del dolore.
Le differenze , tuttavia , appaiono
modeste. In ambito clinico, invece, tali differenze risultano
decisamente più rilevanti.
Studi epidemiologici compiuti su ampi
strati della popolazione generale e clinica documentano una maggiore
prevalenza nelle donne rispetto agli uomini di sindromi dolorose
croniche cosiddette “benigne” (ma non oncologiche).
Le donne, inoltre, lamentano dolori
più intensi, più frequenti, più prolungati nel tempo, un maggior
numero di consumo di farmaci analgesici cosiddetti da banco.
Paradossalmente, a fronte di una
maggiore esposizione all’insorgenza di sindromi dolorose, vi è spesso
una minore attenzione da parte del personale medico/paramedico alle
richieste antalgiche delle donne.
Sul piano clinico, si distinguono :
a)
sindromi dolorose esclusivamente femminili, basate sulle
differenze anatomiche (come, per esempio, il dolore da parto, la
sindrome pre-mestruale, il dolore pelvico idiopatico, la vulvodinia,
eccetera);
b)
sindromi dolorose prevalenti nel sesso femminile come, per
esempio, le cefalee croniche primarie quali l’emicrania e la cefalea
di tipo tensivo, la fibromialgia, l’artrite reumatoide, la sindrome
dolorosa dell’articolazione temporomandibolare, le algie facciali
atipiche e la failed back surgery syndrome.
Anche in talune forme di dolore
post-operatorio, come quello neurochirurgico, l’incidenza,
l’intensità e la durata del dolore risultano maggiori nelle donne
rispetto agli uomini.
Infine sembrano emergere delle
differenze legate al sesso anche in rapporto alla risposta ai
trattamenti antalgici (con oppiacei, FANS) e alle strategie poste in
atto per fronteggiare il dolore (maggiore uso nelle donne di “coping
strategies”, come il rilassamento e maggiore abilità nel ridurre
l’impatto emotivo del dolore nella propria vita di ogni giorno).
In definitiva, se le donne sembrano
essere più vulnerabili all’evento nocicettivo, sono però meglio
equipaggiate a fronteggiare l’impatto del dolore sulla qualità della
vita.
Se dunque non vi sono dubbi, sul
piano clinico, che l’universo femminile sia sensibilmente più esposto
all’esperienza del dolore, ci si può chiedere quali ne siano i
meccanismi sottostanti.
Allo stato dei fatti, nessuna
interpretazione convincente è stata fornita al riguardo. Le ipotesi
più accreditate sono le seguenti:
a)
differenze di organizzazione nel Sistema Nervoso Centrale;
b)
differenze legate a ormoni gonadotropi e/o sistemi di
neurotrasmettitori;
c)
differenze nell’apprendimento sociale in rapporto alla
percezione del dolore.
E’ ancora irrisolta la questione se
uomini e donne differiscano nell’esperienza dolorosa per una diversa
elaborazione dell’input nocicettivo (per ragioni neurofisiologiche) o
piuttosto differiscano per un diverso grado di risposta nei confronti
di segnali nocicettivi (dolorifici) più o meno equivalenti (per
ragioni psicofisiologiche). Ovviamente, queste due ipotesi non si
escludono reciprocamente.
E’ verosimile anzi che siano entrambi
validi e interagiscano significativamente tra loro.
In conclusione, il mistero
dell’esperienza e del vissuto del dolore nell’universo femminile non è
più insondabile come lo è stato per il passato, ma il velo attraverso
il quale si intravede “ l’altra metà del cielo “ è ancora lontano
dall’essere rimosso.
MATTEO FIORENTINO
Direttore U.O. Anestesia e Terapia
del Dolore
P. O. ACRI
A.S. n°4 Cosenza
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Il
dolore oncologico
In tutto il mondo, circa 14 milioni di
persone, sono affette da cancro. Le forme curabili sono ancora poche.
Circa l'8% di tutte le cause di morte dipendono dal cancro. La percentuale
di morte dovuta a tumore è più elevata: in Europa ed è stimata intorno al
23%. Ogni anno vengono diagnosticati circa 7 milioni di nuovi casi di
cancro e 5 milioni di persone muoiono per questo motivo.
Il dolore è presente nel 30-40% di tutti
casi. L'unico approccio realistico, è la soppressione del dolore per
migliorare la qualità della vita residua, molti pazienti trascorrono le
ultime settimane, gli ultimi mesi della loro vita in situazioni
estremamente disagevoli di sofferenza e di invalidità.
Purtroppo spesso il trattamento del
dolore oncologico è inadeguato o inesistente per vari motivi quali: la
deformazione culturale del medico che considera il sintomo dolore come
ineluttabile; l'ignoranza circa le cure capaci di sopprimere il dolore, la
scarsa conoscenza sull'esistenza di specialisti algologi e dei centri di
terapia antalgica.
L'efficacia del trattamento del dolore da
cancro rimane uno tra i più importanti e pressanti problemi medici
mondiali.
Le cause organiche del dolore oncologico
possono essere dovute a:
ü
Coinvolgimento diretto da
parte della neoplasia (compressione o infiltrazione dei tessuti)
ü
Complicanze della terapia
antineoplastica (radioterapia, chemioterapia)
ü
Complicanze della stessa
terapia antalgica
ü
Alterazioni biochimiche e
fisiologiche legate alla neoplasia
ü
Patologie dolorose non
legate al cancro o alla terapia ed a combinazione dei precedenti fattori
ü
Conseguenza del intervento
chirurgico di exeresi del tumore, delle eventuali metastasi o eventuale
linfoadenectomia
Di fronte al paziente che soffre di
dolore si devono perseguire una serie di graduali obiettivi, il cui scopo
principale è sempre quello di migliorare la qualità della vita, e sono:
ü
Aumentare le ore di sonno
senza dolore;
ü
Alleviare il dolore a
riposo;
ü
Alleviare il dolore in
posizione eretta e durante le attività.
La strategia terapeutica
È essenziale che il medico comprenda
quattro punti importanti e che si convinca della loro validità prima di
affrontare qualsiasi discorso terapeutico:
ü
Una valida terapia per il
dolore da cancro va prescritta o eseguita da specialisti in terapia
antalgica;
ü
Nella quasi totalità dei
casi, il dolore da cancro si può combattere efficacemente;
ü
La terapia del dolore da
cancro, specie iniziale, è facile da gestire;
ü
Si può per lo più
agevolmente annullare il dolore da cancro usando appena 4 o 5 analgesici.
I criteri di base sono i seguenti:
ü
È opportuno studiare con
relative indagini il tipo di dolore e la causa principale, per poter
trattare sia la causa che il sintomo in maniera adeguata;
ü
Bisogna scegliere il
farmaco in base all'intensità del dolore;
ü
È consigliabile seguire lo
schema farmacologico a gradini, suggerito dall'OMS;
ü
Bisogna impiegare dosi
individualizzate, mai standardizzate, poiché ogni pz è diverso nonostante
la medesima patologia, e spesso, presenta una diversa risposta al
trattamento;
ü
È consigliabile
somministrare inizialmente una 'loading dose', cioè una dose-carico
elevata.;
ü
Preferire la via orale o
sublinguale e la trasdermica, all’intramuscolare o endovenosa per il
trattamento domiciliare;
ü
Se necessario, prescrivere
due analgesici con diverso meccanismo d'azione;
ü
Eliminare l'insonnia, il
riposo e la tranquillità migliorano la prognosi di vita;
ü
Prevenire ed individuare
gli effetti collaterali somministrando, se necessario, opportuna terapia;
ü
Evitare somministrazione di
placebo;
ü
I farmaci di due gradini
diversi della scala dell'OMS non sono intercambiabili;
ü
Raggiunto l'effetto-tetto
i farmaci come i FANS devono essere sostituiti se non più efficaci;
La via transdermica per esempio con
Durogesic cerotto (a base di fentanyl, oppiaceo 100 volte più potente
della morfina) si è rivelata molto maneggevole ed efficace, sono presenti
lievi effetti collaterali ad alti dosaggi.
Si rende necessario il ricorso a tecniche
specialistiche di tipo invasivo, in un numero limitato di pazienti che
purtroppo non rispondono alle terapie analgesiche di base.
Tra le tecniche invasive, da anni si è
affermata, per la relativa faciltà di gestione l'analgesia peridurale
continua (PCA).
La tecnica consiste nel collocare nello
spazio peridurale lombare o dorsale, un piccolo cateterino (del calibro di
un ago da iniezione) attraverso il quale si somministrano costantemente
dosi opportune di anestetici locali e/o di oppioidi, quali la morfina e la
buprenorfina.
I vantaggi di questa tecnica sono
essenzialmente questi:
ü
I farmaci vengono
somministrati, in quantità ridotte, direttamente sulle vie del dolore,
ü
Si tratta di una tecnica
reversibile
ü
È un procedimento
discretamente semplice, pur se riservato allo specialista in terapia
antalgica.
Una migliore riuscita dell'analgesia
peridurale continua è quando si attua il completo impianto sottocutaneo
del cateterino e del suo accesso perforabile, che non è visibile, ma
avvertibile al tatto. In pratica il paziente riceve le dosi di farmaco
mediante la puntura della cute sotto cui è sistemato l'accesso del
cateterino collegato allo spazio peridurale. L' impianto viene eseguito da
personale esperto ed in ambiente ospedaliero, in 30 minuti e con minimo
disagio per il paziente, non necessitando di ricovero.
I rifornimenti quotidiani di anestetico
locale di lunga durata come la chirocaina, o la ropivacaina in aggiunta o
meno ad oppioidi sono facilmente gestibili da infermieri o anche da
familiari adeguatamente addestrati.
In alternativa sono possibili
rifornimenti anche distanziati di una settimana mediante l'impiego di un
elastomero, che è un sistema monouso ad infusione continua di farmaco.
Michele Maletta
Dirigente medico I livello
U.O. di Anestesia e Terapia Antalgica
Po “Beato Angelo” Acri (CS)
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La Cefalea a Grappolo
Protocollo per la
terapia di estinzione del grappolo in seduta unica
Luciano Lodoli*
Giorgio D’Este**
Introduzione
La cefalea a grappolo
è una delle più temibili affezioni benigne, ciò in considerazione della
gravità del dolore associato agli attacchi che la caratterizzano. La
terapia giornaliera con cortisonici a dosaggio moderato, prolungata fino a
venti - trenta giorni, si è dimostrata parzialmente efficace ma pone
problemi per gli effetti collaterali correlati. A partire
dall’osservazione di alcuni casi trattati con metipredisolone ad alto
dosaggio in seduta unica, in cui si è verificata l’estinzione del grappolo
di cefalee in corso, gli autori anno ottenuto risultati molto promettenti
applicando lo schema terapeutico presentato in questo lavoro in un piccolo
gruppo selezionato di pazienti. I risultati ottenuti sono ad avviso degli
autori meritevoli di essere verificati con uno studio controllato
multicentrico.
Generalità
La cefalea a grappolo è una emicrania parossistica periodica, ben
caratterizzata sia per quanto attiene la sintomatologia, sia per quanto
riguarda l’estrinsecazione cronologica. Gli accessi dolorosi sono di
intensità elevata, tanto da prostrare severamente il paziente, benché la
loro durata non superi di norma i trenta minuti. E’ affezione rara poiché,
in quasi tutte le casistiche, resta al disotto del tre per cento di tutte
le cefalee essenziali. Colpisce cinque volte più frequentemente i maschi
rispetto alle femmine.
Diagnosi
Non pone difficoltà purché si proceda ad una accurata raccolta dei dati
anamnestici sia generali che specifici per le sindromi emicraniche. Sono
di norma soddisfatte le seguenti condizioni:
età di comparsa: 30-40
anni (con estremi da 10 a 50 anni);
grappolo: insieme di
attacchi dolorosi che si presentano, con frequenza di uno o più al giorno,
di norma alla stessa ora (ritmo circadiano), per venti-trenta giorni, una
o più volte l’anno spesso nella stessa stagione (ritmo circaannuale) o,
più raramente, ogni due-tre anni;
localizzazione del
dolore: monolaterale;
insorgenza del dolore:
rapida;
durata del dolore: 30
minuti (con estremi da 15 a 60 minuti);
prodromi: assenti,
sebbene una sensazione di ingombro nasale possa talora precedere di poco
la comparsa del dolore;
tipo di dolore:
perforante, lancinante o penetrante.
intensità del dolore:
da medio-elevata a elevatissima;
fenomeni associati:
tutti presenti nello stesso lato del dolore: ingombro nasale seguito da
rinorrea, ptosi palpebrale, miosi, iniezione congiuntivale, iperemia e
sudorazione dell’ emifaccia;
comportamento del
paziente: estrema agitazione ed insofferenza pertutta la durata del
dolore, angoscia ed allarme in seguito ai primi attacchi.
La terapia più
affermata
Il dolore parossistico
grave e reiterante costituisce l’aspetto nosologico principale della
cefalea a grappolo; tale dolore può sconvolgere anche se transitoriamente
la vita del paziente. In terapia si perseguono due obiettivi: l’estinzione
del singolo attacco e l’estinzione del grappolo in corso.
Terapia di estinzione
dell’attacco: Le possibilità di trattamento farmacologico dei singoli
attacchi sono oggi molto buone per i pazienti che sopportano bene gli
effetti collaterali del sumatripan per via iniettiva. Alcuni pazienti
affermano di giovarsi anche dell’assunzione di questo farmaco per via
orale. Il sumatripan è comunque molto costoso e non impiegabile nella
profilassi degli attacchi o del grappolo per la sua possibile tossicità in
assunzione protratta.
Terapia di estinzione
del grappolo: è stata attuata con qualche risultato una profilassi con
litio carbonato inducendo una litiemia di 0,6-1,2 mEq/l. Ma, data la lunga
latenza nell’induzione dell’effetto terapeutico che caratterizza il litio
(più di 15 giorni), questo trattamento non può essere utile per un
grappolo di normale durata già in corso. Una alternativa al litio, utile
anche a trattare un grappolo già in corso è rappresentata dall’impiego di
cortisonici per os o per via parenterale per tutta la durata del grappolo.
Ad esempio: metilprednisolone 50 mg/die o betametasone 8-12 mg/die. Tale
trattamento prolungato, pur se non privo di qualche efficacia, è gravato
dal rischio di importanti effetti indesiderati e può essere controindicato
in numerosi pazienti. Moltissimi altri farmaci sono stati proposti ma
nessuno ha dato risultati favorevoli ben dimostrati.
Nuovo trattamento
di estinzione del grappolo con bolo a dose farmacologica di
metilprednisolone sodio succinato in seduta unica
Nel settembre del 1986
venne alla nostra osservazione un paziente di 35anni, in stato di grave
prostrazione ed insofferenza perché, da quattro o cinque giorni, in preda
a due attacchi emicranici giornalieri, appartenenti al terzo grappolo
della sua vita. Il paziente affermò, tra l’altro, che nessuno dei farmaci
di volta in volta propostigli aveva gli era stato di giovamento. Durante
il colloquio si scatenò un nuovo attacco. Di fronte alla sofferenza
estrema del paziente e, nel tentativo di venire a capo del suo stato di
agitazione psicomotoria, considerando l’insuccesso dei trattamenti
effettuati in precedenza dal paziente, gli somministrammo un bolo
intravenoso di 2 grammi di metiprednisolone sodio succinato (ossia 30 mg
per Kg di peso del paziente). La crisi dolorosa si attenuò nel giro di
pochi minuti ed il paziente venne congedato con un appuntamento per il
giorno seguente per riprendere il discorso interrotto.
Ma egli tornò soltanto
quasi due anni dopo, nella primavera del 1988. Il paziente riferì che il
precedente grappolo si era interrotto e che non aveva più avuto attacchi
fino al giorno precedente, al mattino, e che un nuovo attacco era stato
superato da circa due ore. Condiscendendo alla insistente richiesta del
paziente ripetemmo il trattamento, questa volta somministrando una
infusione endovenosa più lenta: 2 grammi di metilprednisolone sodio
succinato in 45 minuti. Il paziente, tornato a controllo più volte nei 30
giorni seguenti, apparve anche questa volta libero da altri attacchi.
Da allora abbiamo
sottoposto tutti i pazienti con cefalea a grappolo non presentanti altra
patologia né controindicazioni al trattamento corticosteroideo ad
infusione in unica seduta, alternativamente, di 30 mg/Kg o di 15 mg/Kg di
metilprednisolone sodio succinato (Solumedrol Upjohn).
I primi tre pazienti
che furono trattati con il dosaggio più basso ebbero scarso o nullo
miglioramento, a fronte degli ottimi risultati ottenuti nei pazienti
trattati con il dosaggio più alto, pertanto, dal 1990, abbiamo proseguito
i trattamenti con il solo dosaggio di 30 mg Kg, con il protocollo qui di
seguito descritto.
Ad oggi abbiamo
trattato nove pazienti, per un totale di dodici grappoli. Sei dei pazienti
hanno avuto i loro grappoli risolti senza ulteriori attacchi, salvo
due-tre molto attenuati, che solo occasionalmente hanno richiesto il
trattamento con sumatripan. Un paziente, al suo primo grappolo, trattato
dopo sette giorni di attacchi quotidiani, ha lamentato ancora cinque
attacchi (su 15-20 prevedibili in assenza di trattamento) di intensità non
trascurabile, seppur inferiore a quella precedente il trattamento. Lo
stesso paziente, tornato dopo un anno circa, ha ricevuto il trattamento
dopo il secondo attacco del suo secondo grappolo e non ha avuto ulteriori
attacchi. Due pazienti infine non sono tornati a controllo.
Protocollo per il
trattamento del grappolo in seduta unica
Pazienti inclusi: sono
inclusi soltanto i pazienti con diagnosi certa di cefalea a grappolo, con
grappolo in atto, in buone condizioni generali e sistemiche o con malattie
lievi che non controindichino l’impiego di corticosteroidi a "dosi
farmacologiche". In particolare devono essere esclusi tassativamente
pazienti con micosi sistemiche, tubercolosi, malattie virali o batteriche
in atto, i pazienti immunodepressi e le donne in gravidanza accertata o
presunta. Debbono essere esclusi altresì pazienti con ulcera peptica in
atto od anamnestica, ipertensione severa , e diabete.
Consenso informato:
deve essere chiarito al paziente che il trattamento non rientra tra le
indicazioni attualmente approvate, sia per ciò che attiene il farmaco
impiegato, sia per ciò che attiene la dose. Può essere comunque a ragione
affermato che dosi anche elevate di corticosteroidi sono di norma ben
tollerate in somministrazione unica (non ripetuta).
Modalità di
somministrazione: 30 mg di metilprednisolone sodio succinato per Kg di
peso del paziente, sciolti in 500 ml di soluzione di glucosio al 5%,
infusi per via venosa, in 45-60 minuti.
Trattamento di
eventuali attacchi residui: possono essere trattati con sumatripan o altro
farmaco di provata efficacia e tollerabilità per il singolo paziente. Allo
stato attuale appare non consigliabile reimpiegare corticosteroidi nel
corso dello stesso grappolo in caso di scarso effetto ottenuto con la
prima somministrazione a dose farmacologica.
* Medico chirurgo
Specialista in Anestesiologia e Rianimazione
Specialista in Tisiologia e Malattie dell’apparato Respiratorio
Servizio di Anestesia e Rianimazione e Terapia Antalgica dell’Ospedale San
Giovanni di Roma "Centro Diagnostico" Roma, via Pigafetta 1, 00154 Roma
** Servizio di
Anestesia e Rianimazione dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata
di Roma
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Contro
il dolore uno spray nasale
Un pioneristico spray nasale per bloccare il dolore dei malati oncologici
è stato presentato in occasione del decimo Congresso dell'Associazione
Europea per le Cure Palliative (Budapest, 7-9 giugno). Lo studio ha
valutato se questa innovativa formulazione sia in grado di favorire una
rapida insorgenza del sollievo dal dolore e una breve durata dell'effetto,
rispecchiando il dolore episodico intenso spesso sofferto da pazienti di
cancro.
Il dolore cronico interessa quasi tutti i malati di cancro nel corso della
loro malattia. Tuttavia, il dolore episodico si può manifestare nei
pazienti oncologici anche quando viene somministrato un trattamento
adeguato per il dolore cronico.
Il dolore episodico, dura all'incirca 30 minuti e puo' essere molto
intenso. Il trattamento ideale dovrebbe rispecchiare il tipico evento di
dolore episodico e garantire un ottimo controllo del dolore, ovvero dando
un sollievo rapido ma di breve durata.
La somministrazione intranasale porterebbe sollievo dal dolore 6-8 minuti
dopo la somministrazione. La durata del sollievo è risultata
essenzialmente invariata per entrambe le vie di somministrazione. La
biodisponibilità del fentanil intranasale era dell'89%.
La Dott.ssa Lona Christrup dell'Università di Copenhagen (Danimarca) ha
spiegato: "Come modello per i pazienti affetti da cancro, abbiamo valutato
il fentanil intranasale per il trattamento del dolore sofferto da pazienti
sottoposti a chirurgia dentale. Lo spray intranasale di fentanil
utilizzato nel nostro studio ha fornito un ottimo controllo del dolore,
ovvero rapida insorgenza d'azione e durata relativamente breve
dell'effetto, rendendolo un metodo promettente per il trattamento del
dolore episodico intenso associato al cancro. Un altro vantaggio di questo
metodo di somministrazione è la sua facilità d'uso, un fattore
particolarmente importante per i pazienti oncologici."
I risultati dello studio sono stati discussi durante il simposio satellite
'Challenges in treating breakthrough pain (Le sfide del trattamento del
dolore episodico intenso). Il dolore episodico è una condizione complessa
che richiede una gestione individuale del paziente ed è un problema
diffuso tra coloro che soffrono di cancro.
Per questi motivi il trattamento ideale dovrebbe essere ad azione rapida e
facile da usare. Attualmente, il trattamento usato più frequentemente per
il dolore episodico è la morfina orale.
Però questo metodo non è ideale, proprio perché non ha azione immediata e
perché i suoi effetti durano molto di più dell'evento stesso. Commentando
sui risultati dello studio, il Dott. Andrei Davies, Specialista in Cure
Palliative presso l'Ospedale londinese Royal Marsden, si è così espresso:
"I risultati di questo studio sono particolarmente interessanti in termini
di potenziale uso del fentanil intranasale per il sollievo del dolore
episodico intenso in pazienti affetti da cancro. Si tratta di un tipo di
dolore univoco e, pertanto, richiede un trattamento univoco. La nostra
ricerca ha evidenziato che alla maggior parte di pazienti vengono
prescritti analgesici oppioidi forti somministrati per via orale
nonostante questi non rappresentino il trattamento ideale. Si deve
prestare maggiore attenzione al problema del dolore episodico intenso e i
professionisti sanitari devono essere consapevoli dei principi generali di
gestione del dolore e, in particolare, dei pro e contro di varie forme di
analgesici oppioidi forti."
Fonte: Salute Europa
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Terapia del dolore: si
fa ancora poco
Il dolore non è ancora adeguatamente trattato come sintomo o come
malattia. Se il malato è anziano o fragile, la situazione è ancora
peggiore, sebbene le terapie non manchino.
A dirlo sono tre recenti studi.
Nel primo, pubblicato sul Journal of the American Geriatrics Society,
l’accento è stato posto sugli anziani residenti in case di riposo e non
autosufficienti in quanto affetti da demenza: i geriatri della
Northwestern University di Chicago hanno rilevato che il 54% riferiva
tutti i giorni sintomi dolorosi non dovuti a un tumore, ma più del 46% non
aveva ricevuto un trattamento adeguato.
Nel secondo studio, pubblicato sul Journal of Pain and Symptom Management,
si è studiata l'efficacia di una terapia multidisciplinare sul dolore da
cancro nei malati in fase terminale. I palliativisti del Koo Foundation
Sun Yat-Sen Cancer Centre di Taipei, nell’isola di Taiwan, hanno compiuto
un’analisi retrospettiva su oltre 700 pazienti, l’87% dei quali aveva
riferito sintomi dolorosi durante la malattia.
Di loro, il 79% ha ricevuto una terapia non chirurgica per il controllo
del dolore da cancro, mentre all'85% sono stati somministrati oppiacei.
Alla fine, la maggior parte dei malati ha visto i propri sintomi
attenuarsi fino a sparire (mantenersi cioè in un range da 0 a 4, secondo i
punteggi più utilizzati), e il numero di coloro che ancora accusavano
dolore grave (ossia con uno score compreso tra 5 e 10) rimanere in un
intervallo compreso tra l’uno e l’11%.
Anche la radioterapia puo' essere di aiuto nel controllo del dolore per
alcune specifiche patologie tipo il tumore polmonare non a piccole cellule
terminale. I radioterapisti dell’Università di Leiden, in Olanda, hanno
mostrato che, confrontando schemi di minore intensità protratti per
periodi più lunghi con altri più brevi ma con maggiori dosi di radiazioni,
si ottiene un numero di settimane di sopravvivenza con una buona qualità
di vita superiore (20, contro le 13,2 dei cicli più intensivi) e un
allungamento della vita stessa, che passa da 27,4 a 38,1 settimane.
Fonte: AIOTE
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Una recente scoperta
Il professor Baldomero
Olivera, ricercatore filippino, è riuscito ad estrarre da un potentissimo
veleno che sintetizza una piccola conchiglia che vive nei mari tropicali,
un peptide (cioè una molecola proteica) formata da una sequenza di 25
amminoacidi (i costituenti base delle molecole proteiche): il nome
farmacologico è ziconotide ed è circa mille volte più potente della
morfina, senza peraltro possederne gli effetti collaterali. Attualmente
rientra nella categoria dei farmaci calcio-antagonisti, quei farmaci cioè
che, bloccando i canali del calcio, impediscono la conduzione dello
stimolo, in questo caso doloroso, lungo le fibre nervose deputate.
L'agenzia europea dei farmaci ha già dato il via libera alla sua
commercializzazione, registrandolo nella categoria dei farmaci orfani (si
chiamano così i farmaci che non hanno ritorni economici tali da
giustificarne una produzione) per la cura del dolore non trattabile con i
comuni farmaci, morfina compresa.
Il farmaco sarà presto commercializzato in Italia e il suo uso sarà
limitato ai casi più gravi con modalità particolari: al momento ne è
prevista la somministrazione solo attraverso lo spazio peridurale, come
avviene anche per altre sostanze deputate al trattamento del dolore o
all'anestesia peridurale.
Disclaimer
Queste Pagine
sono dedicate all'Informazione e alla divulgazione di notizie mediche
generiche e specialistiche, non costituiscono motivo
di autodiagnosi o di automedicazione. Benché gli autori abbiano
cercato di fornire notizie precise ed esaurienti sulle singole
patologie, comprensibili all'utenza generale, si sottolinea che tali
informazioni non sono sostitutive di un parere medico qualificato per
la diagnosi e la terapia di ogni singolo caso. Gli autori non si
assumono responsabilità per danni a terzi derivanti da uso improprio o
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Ultimo Aggiornamento febbraio 2008
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